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10/11/2025

ANTHEA COMELLINI: DAL BOSCO ALLO SPAZIO, LA PASSIONE PER L'ORIENTEERING

 ANTHEA COMELLINI: DAL BOSCO ALLO SPAZIO, LA PASSIONE PER L

da Azimut Magazine

Un breve incontro virtuale, alla presenza del Presidente FISO, Alfio Giomi, ci ha permesso di dialogare di Orienteering con Anthea Comellini, bresciana classe 1992 e fresca di matrimonio.
Ci parla da Torino e, appena si introduce l’argomento sportivo, il sorriso diventa largo, lasciando trasparire un affetto sincero per lo sport dei boschi. La passione per l’esplorazione e la capacità di orientarsi tra sfide complesse l’hanno portata lontano, fino alle traiettorie spaziali. Ora è ingegnere aerospaziale, con una laurea al Politecnico di Milano, un percorso di studi internazionali tra Tolosa e Parigi e un dottorato dedicato alla navigazione autonoma per missioni spaziali. Anthea oggi lavora in Thales Alenia Space come specialista in sistemi di guida e controllo (GNC/AOCS).
Nel 2022 è stata selezionata tra oltre 22.500 candidati come membro della riserva astronauti dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), diventando una delle figure più promettenti della nuova generazione di esploratori europei. Con l’entusiasmo e la determinazione che l’hanno sempre contraddistinta, Anthea ci racconta il legame speciale con l’orienteering, le lezioni apprese nello sport e il suo sogno di portare lo spirito di esplorazione anche nello spazio.
Sfogliando negli archivi FISO scopriamo che ha iniziato il suo percorso tra mappe e bussole, praticando Orienteering a livello agonistico e sfiorando la convocazione ai Campionati Mondiali Juniores. Erano gli anni di Jaroslav Kacmarcik come CT in una nazionale che vedeva tra le sue fila gli imberbi Riccardo Scalet, Giacomo Zagonel e Stefano Raus. Tra le ragazze Anna Caglio, Viola Zagonel, Beatrice Baldi, Gaia Sebastiani e Anthea Comellini, accreditata di un tempo di 14’:30” nel test sui 3.000 metri effettuato il 25 gennaio 2012 a Sesto Calende. Tra le migliori performance si annovera un successo ai Pian dei Resinelli in una Long valida per il Campionato Lombardo W18. Era il 5 giugno 2008.
Tornando a un passato più recente, Anthea, nelle sue interviste, non ha mai nascosto la sua passione per l’Orienteering, regalando una bella vetrina a tutto il movimento. Su di lei potete trovare diverso materiale in rete, ma il nostro obiettivo è raccontare il suo percorso sportivo all’interno della FISO: un viaggio che ne ha accresciuto la passione e formato il carattere attraverso esperienze e incontri. Lasciamo che sia lei a svelarne i dettagli.

Come sei nata orientisticamente parlando?
Il mio incontro con l’Orienteering è avvenuto alle scuole medie, un’esperienza che mi ha subito conquistata. Ho scoperto una piccola comunità fatta di persone e boschi che mi ha accolto calorosamente. Successivamente sono entrata a far parte del Tumiza, con Federico Cancelli, un gruppo composto soprattutto da Master, mentre io ero l’unica giovane. Nonostante questo, mi hanno praticamente adottata. Poi, un’esperienza in Val di Non ha rafforzato il mio amore per questa disciplina. Amavo il senso di libertà che l’Orienteering mi dava, insieme alla responsabilità di dover prendere decisioni importanti. Ricordo anche un aneddoto divertente, quando ho dovuto riportare degli studenti in hotel partendo dal bosco.

Un inizio insolito rispetto alla maggior parte degli orientisti?
Sì, infatti. Non provenivo da una famiglia di orientisti né da una società strutturata come l’US Primiero o la Pol. Besanese. Ero semplicemente “la piccola” del Tumiza. Col tempo, però, sono stata adottata da due famiglie molto legate al mondo dell’Orienteering: i Caglio e i Nogara, fondatori del Nirvana Verde. Marta Nogara e Anna Caglio sono diventate come due sorelle per me, e io una sorta di sorella adottiva per loro. I miei viaggi erano spesso da Chiari a Besana Brianza.

Cosa ti ha affascinato di questo sport?
Il fatto di essere artefice del proprio destino. È uno sport che sviluppa abilità importanti e ti mette nella condizione di fare più cose contemporaneamente: correre, ragionare per interpretare la mappa e muoverti verso il punto. Questa capacità mi è stata molto utile anche quando ho preso il brevetto di volo. Durante il decollo e il giro pista, infatti, dovevo contemporaneamente controllare gli strumenti di navigazione per raggiungere un aerodromo o una città. Per molti questo è stato un ostacolo, ma per me è stato come praticare un orienteering in aria.

Hai un luogo di gara che ti è rimasto nel cuore?
Sicuramente le Dolomiti sono tra i miei posti preferiti. Ricordo con particolare piacere un episodio alla Lipica Open, all’inizio della stagione. Gareggiavamo per togliere la ruggine dagli allenamenti e preparare la tecnica. In quel periodo dell’anno, praticamente a fine inverno, soffrivo molto il caldo, ma in quella gara sono riuscita a fare un exploit importante.

Se dovessi spiegare l’orienteering a un bambino, come lo descriveresti?
Non lo definirei una caccia al tesoro, perché è uno sport molto serio. Piuttosto, lo racconterei come una corsa nel bosco dove si devono raggiungere una serie di punti nel minor tempo possibile. È una disciplina in cui il calcolo e la strategia sono fondamentali, e spesso le scelte fatte sono migliori di quelle di un computer.

Quale insegnamento ti ha lasciato questa disciplina?
È uno sport in cui puoi sbagliare anche al primo punto e comunque avere la possibilità di vincere. Ti insegna a gestire l’aspetto mentale e a non mollare mai, perché non è mai finita finché non arrivi al traguardo. Questo è un insegnamento prezioso che porto con me in ogni ambito della vita.

Cosa ti ha fatto appassionare così tanto all’orienteering?
L’ambiente sano e la genuinità delle persone che si incontrano. Questo sport ti permette di maturare esperienze sia sportive sia umane molto significative. Credo che in Italia lo sport non sia abbastanza valorizzato. Quando ero in Francia, avevo due ore di sport obbligatorie a settimana, più un pomeriggio dedicato all’attività fisica. Rimanere attivi e in contatto con l’ambiente è fondamentale per uno sviluppo equilibrato, sia fisico che mentale.

 

A cura di Pietro Illarietti 

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