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01/06/2018

ALBERTO COVA: PER L'ALTO LIVELLO SERVE TESTA E PIANIFICAZIONE

ALBERTO COVA:   PER L

a cura di Pietro Illarietti

MORTARA (PV): Il più volte urlato Cova, Cova..Covaaaaa!!! è ancora nella memoria di molti italiani, di quando il baffo della brianza, Alberto Cova da Inverigo, vinceva sul traguardo  di Helsinky nel 1983 ed il telecronista Franco Rosi perse il suo proverbiale aplomb facendo saltare gli italiani in piedi in una calda giornata d’estate.

Il palmares è importante tra medaglia d’oro olimpica, titolo mondiale, europeo dei 10.000 metri che lo pongono tra i grandissimi dell’atletica internazionale. Oggi si occupa di formazione manageriale aziendale e porta la leadership personale dentro il mondo del lavoro dove la metafora sportiva è sempre più utilizzata per veicolare valori positivi a tutti i livelli (http://www.teambuilder.it).

 

Cova da sempre soprannominato il ragioniere, e non solo per il suo diploma, ma per la capacità di usare la testa in corsa e fuori, è la persona a cui chiediamo indicazioni su come la forza mentale possa aiutare uno sportivo che punta all’alto livello ad emergere.

 

Ne escono una serie di considerazioni interessanti che proponiamo ai lettori di Azimut Magazine.

 

“L’aspetto mentale conta moltissimo. – spiega l’olimpionico - La forza mentale è la predisposizione di una persona al convincimento di quello che sta facendo. Credere nelle proprie possibilità che nascono dalla creazione di un progetto con un punto d’arrivo che dovrebbe essere, a seconda del carattere della persona, un traguardo ambizioso o qualcosa d’altro.  Avviene in qualsiasi campo della vita. Nello sport è più semplice impostarlo perché ci sono gare importanti come Mondiali o Olimpiadi e quindi ci si fissa un percorso per arrivarci preparati”.

 

“Si deve essere determinati e creare le situazioni per far sì che il progetto possa avere continuità. Faccio il mio esempio: Quando ero un ragazzo, tra i 17 e i 19 anni, ho preso la decisione di voler provare con l’atletica in modo serio. Un obiettivo che, vista l’età, poteva sembrare un po’ ingenuo. Una fase in cui la vita vera non è ancora iniziata e ci sono molte aspettative.  Poi si entra nel mondo professionistico ed è tutta un’altra cosa.  È in quel mentre che diventa tutto più difficile perché bisogna rimanere dentro il percorso. Ci sono elementi da combinare come gli allenamenti, la tecnica, la competizione e i risultati che non sono più quelli delle giovanili perché la concorrenza è tanta. Si fatica a entrare nella situazione di benessere sportivo. Ci sono poi situazioni differenti nella vita degli atleti. A volte si ottengono da subito i risultati e in altri casi ci vuole ancor più determinazione perché proprio i risultati non arrivano”.

 

Cova aggiunge: “In questo lasso di tempo che scorre le variabili sono tantissime. Il risultato vero lo si costruisce nella quotidianità. Tutto quello che si fa nel quotidiano deve essere svolto in funzione e in modo coordinato con la vita sportiva. Non ci può essere una vita privata che esclude la vita sportiva. Si deve instaurare un sano equilibrio. Se ci pensate si tratta di un’altra forma di allenamento mentale.  Un ulteriore aspetto riguarda la gestione dei momenti. Vi sono dei periodi in cui va tutto bene e sei molto gasato. Poi basta un niente e sembra che non ce la puoi fare. Quanto invece i tempi cronometrici migliorano e trovi un assetto interiore allora raggiungi la consapevolezza che il percorso è possibile. È inoltre fondamentale saper ottenere l’equilibrio tra motivazione e demotivazione. Questa capacità di gestione la ottieni solo con l’esperienza e la tua voglia di arrivare”. 

 

Mi chiedete cosa sia cambiato per un atleta di allora e quello moderno? Non molto rispetto agli allenamenti. Per quella che è la mia conoscenza i programmi sono gli stessi. E’ cambiata la pianificazione. Oggi a un atleta è richiesto di esser pronto sempre ogni volta che va in gara. Ai miei tempi c’era spazio di costruire con gradualità. A febbraio e marzo se ti presentavi per fare una corsa era tutto finalizzato a mettere fieno in cascina. In primavera ed estate si andava sulla qualità sempre più con l’avvicinarsi dell’appuntamento importante. Come dicevo, oggi invece all’atleta viene sempre richiesto il risultato. Oltre ad essere aumentate le prove in calendario e i periodi in cui esser pronti, nel mezzofondo sono cresciuti numericamente gli avversari. Penso alla presenza dell’Africa con molti atleti di altissimo livello. Un italiano che vuole mettersi in evidenza trova diversi avversari in pista e fuori, viste le pressioni. Allora c’erano spagnoli, tedeschi dell’est, portoghesi. In pratica sempre le stesse persone”. 

Tornando all’alto livello Cova insiste su un altro concetto fondamentale: “La pianificazione al grande appuntamento è la cosa più importante. Quello che conta è vincere una medaglia o arrivare a un grande appuntamento nelle migliori condizioni possibili. Il Mondiale o l’Olimpiade è la gara che vale più di tutte. Per questo conta molto il percorso mentale. Arrivato là cerco di dare il meglio di me, ma il grosso del lavoro è stato svolto prima così come molti degli avversari sono stati eliminati nel percorso di avvicinamento e selezione”.

Metologie e obiettivi possono essere ancora quelli ma il contesto è mutato profondamente.

“E’ vero – ammette Cova - La società è cambiata e il modo di pensare dei giovani pure. Partiamo dai numeri e dicono che in FIDAL i tesseramenti dei giovanissimi aumentano. Questo vuol dire che aumenta la base. Però dirigenti e allenatori sono sempre quelli, invecchiano. Dobbiamo ringiovanire i quadri tecnici. C’è poi la necessità di far rimanere dentro il sistema il numero più elevato possibile di ragazzi che statisticamente si perdono verso i 16-17 anni. E’ il periodo di cui parlavamo prima, quello della scelta.  Perdiamo molti talenti, troppi. Mi ricordo da ragazzo ci saranno stati a Mariano Comense 50-60 ragazzi con cui mi sfidavo e di questi molti si sono persi. Personalmente mi sono scoperto talento dai 18 ai 22 anni. Le scelte personali e famigliari mi hanno aiutato nel mio percorso. Dobbiamo convincere i talenti a rimanere.  Magari scopriranno di essere i più forti in un secondo momento. Quello che sto proponendo vale per tutti gli sport. Si tratta di un lavoro difficile che costa in termini di energia e di risorse, affiancando i ragazzi e supportandoli.  Forse un tempo era più facile e oggi il dolore dei muscoli non affascina. Il mondo cambia”.

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